Mirco Mariottini e Stefano Battaglia pubblicano il loro primo disco in duo, dopo la collaborazione nell’ensemble “Theatrum” e l’incisione di “Re: Pasolini” nel 2007 per la Ecm. Entrambi, poi, sono docenti dei laboratori di Siena jazz. Si conoscono perfettamente, quindi, e condividono un analogo atteggiamento verso il jazz e la musica in generale. L’album si presenta come una serie di improvvisazioni stimolate dal confronto con un certo numero di personaggi lontani, a volte, per epoca e per stile. Si va da Hildegard of Bingen, artista medievale versata in molte discipline, oltre che musicista, a Bruno Maderna, compositore del novecento fra i primi ad utilizzare l’elettronica in ambito classico. E inoltre, fra i vari referenti, troviamo due jazzisti come Paul Bley e Jimmy Giuffre, e, fra gli insospettabili, un cantante e autore francese, Charles Aznavour e uno dei maggiori interpreti del flamenco, Camaròn de la Isla.
I due procedono isolando un tratto, un carattere, dell’omaggiato e ci lavorano all’interno o dall’interno costruendo una composizione istantanea che custodisce l’essenza dell’artista dedicatario o, meglio ancora, racchiude l’idea che la coppia possiede di quel particolare soggetto coinvolto. Si sviluppa, quindi, un botta e risposta di livello elevato fra due formidabili improvvisatori, dove tutto sembra scritto e definito a priori, tanta è l’empatia e il sincronismo fra le intuizioni dell’uno e le risposte immediate dell’altro. Fra i brani migliori, ma è una scelta difficile su 12 tracce di valore omogeneo, si può menzionare la II appannaggio di Jimmy Giuffre, una delle figure più influenti del jazz intellettuale, dal cool in avanti. La takes è su tempo mosso e vede il clarinetto volteggiare ardimentoso su un fondale pianistico plasticamente ondulato. Nella III, dedicata a Paul Bley, i due partono da distante, suggerendo atmosfere cameristiche piuttosto libere per approdare, con un avvicinamento progressivo, a esplicitare un tema blues semplice e sofisticato allo stesso modo. Non è da meno il brano IV per Igor Stravinskiy, dove si rincorrono danzabilità e ritmo incalzante in un pezzo in cui il motivo di base si ripete molte volte mediante un contrappunto aggressivo fra i due strumenti, tramite cambi di pronuncia e di armonia, nel suo svolgimento accidentato. È curioso il trattamento riservato, per contro, a Rosa Balistreri, regina del folklore siciliano. Nella XII improvvisazione, infatti, si avverte il respiro della tradizione isolana solcato da accenti fortemente drammatici, come nelle migliori interpretazioni della cantautrice palermitana, in un ritratto breve e ricco di significati.
Si devono almeno citare gli altri musicisti, non ancora nominati, a cui sono intitolate le improvvisazioni. Troviamo alcuni autori colti del novecento come Valentin Silvestrov e Elliot Carter, un mito della world music, la siberiana Sainkho Namchylak e il maggior compositore di colonne sonore polacco, Krystof Komeda. L’album, in conclusione, contiene una sorpresa dietro l’altra e al medesimo tempo mantiene alta la qualità della proposta. A fronte di una pletora di improvvisatori senza rete, privi di autentici punti di riferimento, incapaci, spesso di rimanere a galla in un mare così infido, Mariottini e Battaglia veleggiano con il vento in poppa, sicuri della loro rotta, abilissimi a condurre in porto un’operazione complessa che, grazie alla loro arte, diventa di agevole gestione e di ascolto decisamente gratificante.
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